di G. V. Settimo



L'uomo aveva un aspetto stravagante e misterioso. Entrava nelle osterie, consumava pasti frugali, poi si rimetteva in cammino raccontando, se gli garbava, a chi gli si faceva d'attorno, cose prodigiose. Quest'individuo era, a modo suo, "immortale", destinato, o per colpa o per merito, non si sa bene, a vivere non una sola vita, ma una serie di cicli vitali che abbracciano secoli. È colui che alcuni autori hanno pittorescamente definito "l' Ebreo Errante".
Fra tutte le leggende raccolte dalla indimenticabile Maria Savi Lopez, è particolarmente interessante quella riguardante il luogo ove sorge il Cervino.
Secondo questa antica tradizione dove si eleva la piramide del Cervino, esisteva anticamente una città in cui l'Ebreo Errante ebbe asilo. Ritornato sugli stessi luoghi, anni dopo, vi trovò invece il monte.
"Commosso profondamente - narra l'autrice - nel pensare a tanta sventura, pianse a lungo e le sue lacrime non formarono dei fiori come quelle della Dama Bianca, ma il Lago Nero che vedesi poco lungi del Cervino".
Anche in Svizzera esiste una tradizione riguardante una città sepolta sotto frane e valanghe e oggi coperta dai ghiacci a seguito del pernottamento in quel luogo dell'Ebreo Errante.
Ancora oggi nel Canavesano si può sentir narrare che in quelle località il viandante ebbe a sostare per acquistare olio e se nulla di tremendo accadde è perchè egli non si fermò a dormire. A Chivasso si dice che comprò del pane e a Borgofranco, nei pressi d'Ivrea, lo si vide poco più di un secolo fa, presso il campanile. A Strambino fu visto transitare proveniente dalla Valle di Aosta e diretto a Torino. Scrive il Pinoli (1852-1927) che "... passò all'osteria del Cappel Verde tenuta dal padre degli attuali esercenti, a bere un mezzo litro di vino che pagò coi cinque soldi che aveva in tasca; poi fece un giro pel paese e se ne andò".
Ma chi era in realtà questo enigmatico personaggio?
Nessuno è in grado di dirlo; molti autori - in passato - hanno dedicato indagini e studi al riguardo senza poter pronunciare una parola definitiva.
Il Neubaur pubblicò, a Lipsia nel 1893 un saggio contenuto nella collana "Centralblatt fur Bibliothekswesen, X, 6-8" dal titolo: "Bibliographie der Sage von ewigen Juden", in cui sono contenuti ben centocinquanta titoli di volumi o articoli riguardanti l'Ebreo Errante.




Frontespizio della "Leggenda dell'ebreo errante"

Assuero con il figlio
(Incisione fiamminga)




Matteo di Parigi, monaco e cronista del XIII secolo, scrive nella Historia Maior che nel 1228 un arcivescovo d'Armenia si recò in Inghilterra e che fra le altre cose narrò di un certo Giuseppe presente alla Passione di Cristo e che viveva tuttora, tanto che fu pure ospite della mensa dell'arcivescovo poco prima che egli partisse per il suo viaggio, e aggiunge: "... ai tempi della sentenza contro il Cristo, quell'uomo, chiamato allora Cartafilo, era portinaio del pretorio di Ponzio Pilato. Quando Gesù, condannato e trascinato dagli Ebrei, traversò la porta del Pretorio, Cartafilo gli diede con disprezzo un pugno nella schiena e gli disse ghignando: Cammina dunque, Gesù, cammina più spedito. Perchè sei così lento? E Gesù guardandolo con fronte e occhi severi, rispose: Io vado, e tu, tu aspetterai ch'io torni".
Da questo fatto nacque la leggenda suffragata dalle parole dei vangeli: "In verità io vi dico, che tra i qui presenti vi sono di quelli che non morranno, prima che vedano il Figlio dell'uomo venire nel suo regno". (Matteo, XVI, 28). "Vi dico in verità che ci sono alcuni dei presenti i quali non gusteranno la morte prima di aver veduto il regno di Dio venire con maestà". (Marco, VIII, 39). "Or vi dico in verità, che ci sono alcuni qui presenti i quali non gusteranno la morte finchè non vedano il regno di Dio". (Luca, IX, 27). Così come si è creduto per secoli che san Giovanni fosse vivo perché Gesù disse a san Pietro "Io voglio ch'egli dimori fin ch'io torni", si è anche creduto che ad altri venne concesso di vivere come dono della loro fede e ad altri ancora come espiazione dei loro delitti.
"Quando i fatti - scrive Gaston Paris [1]- ebbero smentito il senso più naturale di quelle frasi, la credenza popolare dovette cercar pure di giustificarle: e si suppose appunto che alcuni testimoni della vita di Cristo fossero stati sottratti alla morte. Tale destino poteva perciò essere riservato tanto a chi aveva soccorso, quanto a chi aveva offeso Gesù: essere insomma un premio o una maledizione".
Oltre a questo l'immaginazione del popolino, non soddisfatto dei pochi particolari della Passione narrati nei Vangeli, ha aggiunto nuovi episodi facendo così nascere le leggende attorno a Pilato, a Giuda, e quelle riguardanti Giuseppe d'Arimatea ed il Santo Graal.
La fantasia umana ha pure immaginato un'infinità di pie leggende come quella che si riferisce alla Veronica del Sudario [2] con cui ella avrebbe asciugato il viso di Gesù o come quella riguardante il cieco di nascita, Longino, il quale, ferendo il Cristo al costato, si cosparse gli occhi con il sangue caldo acquistando la vista.
Matteo di Parigi, riferendo le parole dell'arcivescovo, spiega che dopo le parole di Gesù, Cartafilo aspetta e vaga, qualche volta, per il mondo.
"Aveva all'epoca dei fatti narrati circa trent'anni e ogni qualvolta arriva all'età di cento anni è preso da una particolare specie di estasi e dopo un periodo di malattia ritorna all'età che aveva quando il Cristo venne mandato a morte. Si dice che sia stato battezzato da Anania, lo stesso che battezzò san Paolo, ed abbia ricevuto il nome di Giuseppe. Abita per lo più in Armenia o in altri paesi dell'oriente, sempre fra vescovi e prelati. È religioso e conduce una vita santa, parla assai poco e solo quando lo richiedano i vescovi o persone assai religiose. Racconta fatti antichi e circostanze della Passione, e ciò senza scherzo e senza parole frivole, perchè è per lo più piangente. Vengono a vederlo da paesi lontani per intrattenersi con lui; e se si trova con uomini rispettabili risponde a tutte le domande ed alle questioni che gli vengono proposte. Rifiuta quanti doni gli sono offerti, contento di una veste e di un cibo semplici. Tutte le sue speranze vede nel fatto che egli peccò per ignoranza".
Pochi anni dopo, il fratello dell'arcivescovo venne anch'egli in Inghilterra accompagnato da alcuni monaci i quali "... assicurarono di sapere in modo indubitabile che quel Giuseppe che vide Cristo pronto a morire e che aspetta il suo ritorno, vive nella sua solita maniera...".
Si sa che l'arcivescovo armeno ebbe a recarsi a Colonia e che passò qualche tempo, durante la quaresima, presso il vescovo di Tournai ove raccontò di nuovo la storia, contenuta con qualche variante nella "Cronaca", in versi, di Filippo Monsket; questi scriveva in Tournai, nel Belgio, intorno il 1243, mentre il noto astrologo Guido Bonatti, che prestò per più anni servizio alla corte di Guido conte di Montefeltro, dopo di aver affermato nella sua opera "Indroductorius ad judicia stellarum" che un certo Riccardo si era vantato in Ravenna, nel 1223, di aver vissuto quattro secoli prima alla corte del re Carlo Magno, aggiunge che "... a' suoi tempi dicevasi vivere ancora un testimonio della Passione di Gesù e chiamarsi Giovanni Buttadeo. Questo Giovanni - conclude il nostro cronista - passò per Forlì andando a San Jacopo nel 1267".
Il nome di Buttadeo appare in poesie e racconti del XIII secolo mentre in altre dello stesso periodo e semplicemente chiamato "l'uom per cui Cristo è atenduto".
In Portogallo l'Ebreo errante viene chiamato, nel XVI secolo, col nome di Joan d'espera em Deos, oppure con quello di Jean de-voto a Dios nome che già appare in alcune cronache italiane del XIV secolo in cui viene nomato Giovanni devoto a Dio.
Nel "Liber terre sancte Jerusalem", manoscritto datato verso la fine del XIV secolo, compilato su fonti del Ludolf de Sudheim e del Philippus, viene ricordato il luogo dove Giovanni Buttadeo urtò il luogo dove Giovanni Buttadeo urtò il Cristo Signore mentre andava al Calvario.
In una relazione del XV secolo Antonio di Francesco d'Andrea, racconta che l'Ebreo errante venne in Italia per fermarsi in diversi luoghi e che fra l'altro fu visto, tra gli anni 1310 e 1320, nel Borgo a San Lorenzo di Mugello, mentre il cronista di Siena, Sigismondo Tizio, afferma che i vecchi cittadini senesi asserivano che Giovanni Buttadeo era passato nell'anno 1400 perla loro città e che, osservato un dipinto di Andrea di Vanni raffigurante il Cristo sulla croce, asserì di non averne visto alcuno in cui l'immagine del Signore fosse più somigliante.
Il d'Andrea narra pure che Giano di Duccio di Sergialdo, incontrò assieme ai suoi figlioli, il Buttadeo vestito da frate sul giogo di Scarperia, mentre fuggiva dal Borgo San Lorenzo verso Bologna.
Sempre in quegli anni fu scorto in Lombardia ed a Vicenza dove venne arrestato come spia ma poi rilasciato. Girò in seguito per la Marca Trevigiana e per il Veneto. Appare poi nella Marca di Ancona e ancora a Borgo San Lorenzo dove il paese intero accorse per vederlo assieme al Podestà accompagnato da cinquanta uomini. Andò quindi a Firenze, ove rimase ospite in casa dell'autore della cronaca che dice: "Tutto il mondo traeva per vederlo, e fra' quali vi venne il messer Lionardo d'Arezzo cancelliere della Signoria e stette con lui nella mia povera casa circa tre ore o più a ragionare".
Ripartito da Firenze, vi ritornò dopo pochi mesi e riprese nuovamente alloggio presso il d'Andrea ma essendosi radunata troppa folla, venne costretto a fuggire di nascosto per rimanere ospite in casa del cancelliere Paolo Fortini il quale il mattino dopo lo condusse al Palazzo della Signoria. Qui, narra il cronista, "molte cose s'appresero da lui".
Preso commiato dai Signori di Firenze, si recò in Puglia ed in Sicilia e nuovamente a Mugello ove fu imprigionato dal Vicario Giovanni Morelli. Al mattino, tuttavia, nella cella non c'era più, benchè l'uscio fosse "tutto impiallacciato di grosso ferro con un grosso chiavistello non fu trovato, nè guasto niente".
Fu ancora in casa di Antonio di Francesco d'Andrea, a Firenze, e sei mesi dopo ancora in un albergo presso Porta San Nicola. Si incontrò nuovamente con il d'Andrea dicendogli però che mai più l'avrebbe rivisto.
Anche in un diario domestico di cui è autore Salvestro di Giovanni Mannini, viene confermata la presenza in Toscana di un personaggio misterioso chiamato Buttadeo.



Incisione tedesca del 1618

Un'incisione di Epinal sec. XVIII



La celebrità ottenuta in Toscana da quest'enigmatico individuo suggerirono a Ser Mariano da Siena di partire per la Terra Santa nella quale soggiornò per diverso tempo cercando notizie sul Buttadeo. In un racconto provenzale viene, assieme a Buttadeo, nominato anche Malco, il servo di Caifa, a cui san Pietro recise l'orecchio destro. Nel secolo XVI appare nuovamente, ma questa volta con il nome di Ahasvero (nome persiano citato nella Bibbia) e in una "Relazione maravigliosa" attribuita da taluni studiosi a Chrysostomo Dedalaeo Vestphalo, troviamo narrato da una lettera che Paolo d'Eitzen vescovo a Scleswig, avrebbe visto nel 1547 in una chiesa di Amburgo, durante la predica, l'Ebreo, alto di statura e coi capelli lunghi cadenti sulle spalle ed ai piedi nudi in atto di ascoltare con compunzione. Molte persone presenti, così ci informa la lettera, si ricordavano d'aver visto quell'uomo, in Inghilterra, in Francia, in Italia, in Spagna, in Ungheria, in Livonia, in Persia, in Polonia, in Russia, in Danimarca ed in Svezia.
Il personaggio fu avvicinato dal vescovo e disse di chiamarsi Ahasvero, di essere ebreo di nascita e calzolaio, nonchè di aver assistito alla Passione di Gesù.
Dopo Amburgo passò a Danzica ove venne gente anche da molto lontano per poterlo vedere e parlare con lui. Nel 1575 è a Madrid; nel 1599 torna a Danzica e quindi a Vienna; fu a Lubecca nel 1601 ed a Parigi nel 1604. Là lo videro attorniato da bambini mentre raccontava loro la Passione.
Viaggiò pure per la Russia e nel 1613 si recò a Mosca; poi a Cracovia tre anni dopo; nuovamente ad Amburgo nel 1637, a Bruxelles nel 1640 e a Lipsia nel 1642 e in questi anni si comincia a chiamarlo Isacco Laquedem o Lakedem.
In una lettera della Duchessa di Mazarino si narra che alla fine del XVII secolo egli si trovava in Inghilterra. A questo punto la leggenda potrebbe venir collegata con un altro misterioso individuo: il conte di Saint Germain. Ma si tratta di un altro personaggio o sempre della stessa persona che ha cambiato ancora una volta nome?
Un'altra interessante testimonianza ci viene fornita da Federico Eusebio che in "Alba Pompeia" (anno I, nº 1 - maggio 1908) scrive "Mio padre, che nato nel 1817 cominciò a vivere in Alba verso il 1830, raccontava qualche volta fra i ricordi di que' primi tempi che un giorno sentì dire in crocchio da parecchi negozianti in via maestra (egli li designava per loro nomi e nomignoli) come fosse entrato da loro un uomo di strano aspetto, bislungo allampanato, dai capelli e dalla barba prolissi, dall'abito patito e tagliato tutt'altro che sull'ultimo figurino. Dappertutto aveva comprato per pochi soldi, con parole umili e ossequiose; e quel che più aveva dato nell'occhio, mentre aspettava d'esser servito, non faceva che trotterellare su e giù a torno a torno secondo l'ampiezza delle botteghe, come se avesse il male della tarantola...".
"Quand'egli da piazza del Duomo svoltò per via Tanaro, e l'ultimo bottegaio da lui visitato s'affrettava a comunicare ai vicini le sue impressioni, uno degli uditori aveva d'un tratto esclamato: Ma quello è l'uomo dai cinque soldi! Non può mancare: è lui!... Voglio tentar di vederlo! E via di furia per via Tanaro; e dietro lui altri tre, cinque altri, dieci altri, con proposito di raggiungere il raro personaggio..."
"Non ci riuscirono, chè l'uomo era andato rapido a meraviglia; ma lo videro ancora passare il Tanaro a piedi asciutti e prender poi la via per Asti... L'ultimo particolare collima con un altro spunto di ricordo, che zio, colà abitante ed ospite nostro, discorreva con mio padre e con qualch'altro congiunto e conoscente. S'io avessi potuto prevedere d'averne a riferire in questa Rivista, avrei badato assai meglio alla conversazione, e dallo zio mi sarei fatto dire per filo e per segno quel che sapeva o credeva di sapere. Distratto invece da non so qual gioco, per mio conto, non mi colpì che una sua frase staccata, più insigne certo pel nome inusitato che inchiudeva: J'è pasaie Suifràn". [3]
"Non potrei dire se egli parlasse come di cosa recente ovvero più o meno remota, nè se dicesse in nome proprio o riferisse affermazione d'altrui. Quel che mi par di rivedere è che dopo il detto egli avesse in faccia quel semi-sorriso, che attende incoraggiamento all'incredulità".
Sempre nella medesima rivista, nel fascicolo dell'aprile 1910, viene riportata a pagina 49, sotto il titolo "L'uomo volante di passaggio a Capriata sul principio del sec. XIX". L'autore B. Campora scrive tra l'altro: "Mio padre, morto di 59 anni nel 1879, raccontava che suo papà, trapassato nel 1839, narrava esser capitato a Capriata [4] nel suo esercizio (albergo, spaccio di commestibili, ecc.) presso la Porta della Valle, un viandante scarno, alto, di buone maniere, con barba e capelli lunghi, vestito d'abito logoro e strano"
Quell'uomo non stava mai fermo, camminava sempre, era irrequieto; entrò con premura nel negozio, unico in Capriata; si rifocillò colla spesa di non più di cinque soldi: uscì correndo; rientrò poco stante, acquistò qualche cosa, e frettoloso se ne andò; ritornò così, ed uscì parecchie volte, spendendo non mai oltre cinque soldi per volta. Fu molto osservato: ebbe il nome di uomo volante; ma non gli si diede importanza. Fatte le sue piccole compere per togliersi dalla pubblica curiosità, di volo prese la Porta della Valle e giù per il molino all'Orba che passò, senza bagnarsi, mi viene da una prima gita fatta da ragazzo a Marigliano, ch'è, appunto sulla strada da Alba ad Asti. Ma perdendosi poi nelle macchie, che allora coprivano la sponda sinistra del fiume, verso Acqui ed Alessandria".
Non si può d'altra parte escludere che alcuni dei casi citati più sopra e nei quali il popolo credeva di vedere l'Ebreo Errante, avessero in realtà per protagonista, il famoso medico-veggente Nostradamus, il quale, come è noto, viaggiò per l'Europa chiamato dalle diverse corti dell'epoca per le sue grandi conoscenze e per la rinomanza ottenute con le sue ormai famosissime "Profezie".
La leggenda dell'Ebreo Errante ha interessato scrittori e poeti quali il Goethe, il Beranger e Roberto Hamerling, che compose un poema in versi diviso in sei canti dal titolo "Assuero in Roma".
Scribe e Saint-Georges ne fecero un melodramma musicato da Fromental e rappresentato nel 1852, dieci anni dopo la rappresentazione tenuta a Wilna di un'opera sullo stesso soggetto scritta dal maestro Karzynski. Ma sarebbe troppo lungo elencare quanti autori famosi si sono interessati a questo personaggio, ci basti ricordare il Longfellow, il Duponte, il Lacroix e il Sue, non dimenticando le magnifiche incisioni del Dorè e i "Poemetti Drammatici" di Arturo Graf.





[1] Gastone Paris, filologo francese (1839-1903) autore fra l'altro di "Poèmes et lègendes du Moyen Age", "Aventures merveillueses de Houn de Bordeaux" e "La litteràture francaise au Moyen-Age (XI.XIV Siècle)" - Paris 1890.

[2] Contenuta in un racconto latino intitolato: "De Veronilla et de imagine domini in sindone depicta"

[3] "E' passato l'Ebreo Errante".

[4] Capriata d'Orba, comune in provincia di Alessandria a 176 metri sul livello del mare.
     (da Clypeus nº 81/1983)



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